- Diritto Penale
Nell’accertamento della quasi flagranza, l’«inseguimento» deve essere inteso in senso materiale, non rilevando quello «figurato» o «metaforico»
- Adriana de Gioia
- Diritto Penale
Provvedimento (estremi)
Sentenza – Cass. pen., sez. V, ud. 30 aprile 2025 – dep. 9 maggio 2025, n. 17721
Tematica
Procedura penale
Misure precautelari
Arresto e fermo
Norma/e di riferimento
Art. 13 Cost. – art. 382 c.p.p.
Massima/e
È illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di “quasi flagranza”, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato. Cass. pen., sez. V, ud. 30 aprile 2025, n. 17721.
In senso conforme: Cass. pen., sez. un., 24 novembre 2015, n. 39131; Cass. pen., sez. V, 22 novembre 2024, n. 6561.
Il concetto di “inseguimento”, adoperato dal legislatore del codice di rito nella definizione della “quasi flagranza”, deve essere inteso in senso materiale e debba essere attuato da parte di chi abbia percepito, almeno in parte, l’azione ovvero abbia sorpreso l’autore del fatto con le tracce del recentissimo misfatto, non rileva, al contrario, l’inseguimento inteso in senso figurato o metaforico, quale attività di individuazione dell’autore del fatto non già grazie ad un momento direttamente percettivo da parte di chi lo insegue e lo blocca, ma grazie ad una serie di attività investigative, quand’anche svolte nell’immediatezza del fatto. Cass. pen., sez. V, ud. 30 aprile 2025, n. 17721.
In senso conforme: Cass. pen., sez. un., 24 novembre 2015, n. 39131.
Commento
Nell’accertamento della quasi flagranza, l’«inseguimento» deve essere inteso in senso materiale, non rilevando quello «figurato» o «metaforico»
di Adriana de Gioia
La Suprema Corte ha ribadito il dictum delle Sezioni Unite sulla nozione di flagranza (Cass. pen., sez. un., 24 novembre 2015, n. 39131, Ventrice; in termini, tra le altre, la recentissima Cass. pen., sez. V, 22 novembre 2024, n. 6561).
Le Sezioni Unite, nella sentenza “Ventrice”, hanno sancito il principio secondo cui è illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di “quasi flagranza”, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato. In motivazione, il massimo Consesso ha ricordato innanzitutto che la possibilità di adozione provvisoria di provvedimenti de libertate da parte dell’autorità di polizia prevista dall’art. 13, comma 3, Cost. – secondo cui «in casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori» restrittivi, da sottoporre alla convalida dell’autorità giudiziaria entro termini perentori – deve intendersi una prerogativa eccezionale e, pertanto, laddove prevista dal legislatore ordinario, di stretta interpretazione (in questo senso, Corte Cost., sent. n. 89 del 1970). Nell’autorevole precedente si è, così, sostenuto che, nell’ottica della natura eccezionale dei poteri di privazione della libertà personale attribuiti alla polizia giudiziaria, questi ultimi trovano ragionevole giustificazione nella constatazione (da parte di chi procede all’arresto) della condotta del reo, nell’atto stesso della commissione del delitto, ovvero nella diretta percezione di condotte e situazioni personali dell’autore del reato, immediatamente correlate alla perpetrazione e obiettivamente rivelatrici della colpevolezza. Non è, di contro, possibile fondare la decisione di procedere all’arresto sulle sole indicazioni fornite dalla vittima o da terzi alla polizia giudiziaria, laddove quest’ultima non abbia assistito alla perpetrazione del reato ovvero non ne abbia percepito le tracce di commissione “immediatamente prima”. A quest’ultimo riguardo, le Sezioni Unite hanno ragionato sul concetto di “inseguimento” adoperato dal legislatore del codice di rito, concludendo che esso debba essere inteso in senso materiale e debba essere attuato da parte di chi abbia percepito, almeno in parte, l’azione ovvero abbia sorpreso l’autore del fatto con le tracce del recentissimo misfatto. Non rileva, al contrario, l’inseguimento inteso in senso figurato o metaforico, quale attività di individuazione dell’autore del fatto non già grazie ad un momento direttamente percettivo da parte di chi lo insegue e lo blocca, ma grazie ad una serie di attività investigative, quand’anche svolte nell’immediatezza del fatto. Il massimo Consesso ha negato la validità di un’esegesi della nozione anzidetta che prescinda dalla «correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo) e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato», perché essa andrebbe oltre i limiti di un’interpretazione estensiva della norma sulla flagranza.
La cautela imposta all’interprete – si legge altresì nella sentenza Ventrice – fonda sulla ratio della disposizione in esame, che vede l’eccezionale legittimazione della polizia giudiziaria o del privato a privare della libertà una persona prima dell’intervento dell’autorità giudiziaria giustificata dall’altissima probabilità (e, praticamente, dalla certezza) della colpevolezza dell’arrestato; condizioni, queste ultime, che possono derivare solo dalla diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all’arresto. Di contro, apprezzamenti e valutazioni tipici della fase ricostruttivo investigativa non offrono analoghe garanzie in termini di sicurezza e affidabilità di previsione. D’altra parte – come pure osservano le Sezioni Unite – se, come si legge nell’art. 382, comma 1, c.p.p., l’inseguimento deve avere inizio «subito dopo il reato», necessariamente l’inseguitore deve avere personale percezione, in tutto o in parte, del comportamento criminale del reo nella attualità della sua concreta esplicazione. Laddove tale soluzione di continuità sia interrotta, il dato meramente cronologico, costituito dalla brevità del lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato all’arresto, dovuta alla tempestività degli esordi e della conclusione dell’attività di ricerca svolta dalla polizia giudiziaria, non valgono ad integrare la condizione di flagranza.