- Diritto Penale
La sorte delle misure coercitive non custodiali all’indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna
- Valerio de Gioia
- Diritto Penale
Provvedimento (estremi)
Sentenza – Cass. pen., sez. I, ud. 15 maggio 2025 – dep. 23 maggio 2025, n. 19388
Tematica
Procedura penale
Esecuzione
Sospensione dell’ordine di esecuzione
Norma/e di riferimento
Art. 656 c.p.p.
Massima/e
L’intervenuta irrevocabilità di una sentenza, contenente condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione, comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale, già applicata al condannato, senza che sia necessario alcun provvedimento che la dichiari. Cass. pen., sez. I, 15 maggio 2025, n. 19388
In senso conforme: Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2011, n. 18353
Commento
La sorte delle misure coercitive non custodiali all’indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna
di Valerio de Gioia
L’art. 656 c.p.p. consente al condannato di beneficiare della sospensione dell’ordine di esecuzione, allorquando – al momento del passaggio in giudicato della relativa sentenza di condanna – si trovi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari e debba espiare una pena non eccedente, rispetto a quelle indicate dal precedente comma 5 (purché non ricorrano le situazioni ostative dettate dai commi 7 e 9 dello stesso articolo). Prevedendo tale sospensione, il comma 10 dello stesso articolo stabilisce che il condannato – fino all’intervento della decisione del Tribunale di sorveglianza, quanto all’eventuale applicazione di una misura alternativa – rimanga nello stato detentivo in cui al momento si trova (sarebbe a dire, in una condizione equiparabile alla sottoposizione alla misura alternativa della detenzione domiciliare), dovendosi poi computare il tempo corrispondente quale pena espiata. Il medesimo art. 656, comma 10, c.p.p., inoltre, affida al magistrato di sorveglianza la competenza in ordine alla gestione della custodia domestica nel periodo di cui trattasi, secondo le attribuzioni che sono riconosciute dal richiamato art. 47-ter Ord. pen..
Nel caso degli “arresti domiciliari esecutivi” di cui all’art. 656, comma 10, c.p.p., dunque, l’iter procedimentale e decisionale, finalizzato alla verifica dei presupposti giustificativi della misura alternativa alla detenzione, deve confrontarsi con una situazione in cui non è intervenuto alcun provvedimento concessivo in tal senso. Sicché, l’accertamento di cui trattasi non può che riguardare la possibilità o meno di tale ammissione e, consequenzialmente, della prosecuzione della restrizione domestica.
Nell’ambito di un unico procedimento – da svolgersi in contradditorio e specificamente inerente all’accesso al beneficio – vanno allora individuate le rituali richieste avanzate in tal senso, onde poi procedere all’apprezzamento circa l’esistenza dei presupposti atti a legittimare la invocata misura alternativa (in tal senso si veda, in motivazione, Cass. pen., sez. I, 14 settembre 2018, n. 57540).
Le valutazioni ad ampio raggio, che da ciò conseguono, vanno estese anche alle specifiche condotte, poste in essere durante il regime cautelare precedente, rispetto al passaggio in giudicato della sentenza. Non ci si può quindi esimere dal dare conto – tramite adeguata motivazione- della concreta valenza evocativa che venga riconnessa a tali condotte, in sé e alla stregua del confronto con le altre conoscenze acquisite, circa i comportamenti precedenti e successivi serbati dal condannato; sarà in tal modo possibile rappresentarsi, in ragione di un complessivo percorso valutativo, l’effettiva e attuale sussistenza delle condizioni richieste dalla norma, in vista della concessione della misura alternativa. Tanto tenendo presente anche il divieto enunciato dall’art. 58-quater Ord. pen., in relazione alla concessione dei benefici penitenziari al condannato che sia stato ritenuto colpevole, con pronuncia divenuta irrevocabile, del reato previsto dall’art. 385 c.p. (Cass. pen., sez. I, 10 maggio 2011, n. 22865 e Cass. pen., sez. I, 25 febbraio 2011, n. 7514). Pare utile ricordare, sul punto, che Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2009, n. 9827 ha chiarito come tale preclusione, rispetto alla concedibilità dei benefici penitenziari, operi esclusivamente al passaggio in giudicato della sentenza, che sino a quel momento può essere valutata al limitato fine di apprezzare la meritevolezza del beneficio.
Le Sezioni Unite, intervenendo sulla questione afferente alla sorte delle misure coercitive non custodiali, all’indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, hanno poi affermato che l’intervenuta irrevocabilità di una sentenza, contenente condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione, comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale, già applicata al condannato e che, in tal caso, l’estinzione della misura opera di diritto, senza che sia necessario alcun provvedimento che la dichiari (Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2011, n. 18353) e hanno al contrario rimarcato, in parte motiva, come l’art. 656 c.p.p. si occupi del rapporto fra sentenze irrevocabili di condanna e misure cautelari in corso, “con riferimento alle sole misure custodiali, stabilendo, al comma 9, la non concedibilità della sospensione dell’esecuzione in favore del condannato che si trovi in stato di custodia cautelare in carcere (che quindi non viene interrotta) e, al comma 10, la concedibilità della stessa sospensione in favore del condannato che si trovi agli arresti domiciliari, dei quali dispone esplicitamente la persistenza fino alla decisione del tribunale di sorveglianza …”. In tale linea ricostruttiva, ricordano le Sezioni Unite, il legislatore ha inteso farsi carico della “esigenza di evitare la cessazione delle misure nel momento in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile … ritenendola meritevole di positiva tutela con esclusivo riferimento alle misure custodiali, secondo una scelta strettamente correlata alle loro connotazioni di efficacia e fungibilità e che, come tale, non può essere estesa alle altre misure”.