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  • Diritto Civile
  • venerdì, 6 Giugno 2025

Incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita

  • Giovanna Spirito
  • Diritto Civile

Provvedimento (estremi)

Sentenza – Corte Cost. ud. 10 marzo 2025 – dep. 22 maggio 2025, n. 68

Tematica

Diritto civile
Procreazione medicalmente assistita
Riconoscimento da parte della madre intenzionale

Norma/e di riferimento

Artt. 2, 3 e 30
Artt. 8 e 9, L. 19 febbraio 2004, n. 40
Art. 250 c.c.

Massima/e

L’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. Corte Cost. 22 maggio 2025, n. 68.

Commento

Incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (PMA) legittimamente praticata all’estero

di Giovanna Spirito

 

La legge non dà una definizione della responsabilità genitoriale, ma nell’art. 147 c.c. prevede i doveri dei coniugi verso i figli, individuandoli negli obblighi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.

La norma ripete la formula dell’art. 30, comma 1, Cost. e «dal combinato disposto delle due disposizioni si evince il nucleo di detta responsabilità, che si collega all’obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socioeconomiche dei genitori stessi» (Corte Cost. n. 31 del 2012).

A tali doveri corrisponde un insieme di diritti in capo al figlio, articolati dal legislatore, per l’appunto, nel «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni»; nel «diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315-bis c.c.) e nel «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 337-ter c.c.).

Qualora vi sia una coppia di persone che ha intrapreso il percorso genitoriale, non è sufficiente il solo riconoscimento del rapporto con la madre biologica, sussistendo il «diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori» (Corte Cost. n. 102 del 2020), diritto riconosciuto a livello di legislazione ordinaria (art. 315-bis, comma 1 e 2, e 337-ter, comma 1, c.c.) e affermato altresì da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea (art. 8, comma 1, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo nonché art. 24, paragrafo 3, CDFUE). In altri termini, ciò che viene in discussione è unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali ai suoi interessi che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali. Doveri ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi.

In parallelo alla considerazione della centralità dell’interesse del minore, si è venuta delineando, strettamente correlata allo stesso, l’affermazione dell’unicità dello stato di figlio, quale principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013, compendiato dal nuovo art. 315 c.c. per cui «[t]utti i figli hanno lo stesso stato giuridico». In forza di tale principio tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento (all’interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme) godono della medesima considerazione, con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio (art. 315-bis c.c.), sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 74 c.c.).

Il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato.

L’orientamento sessuale, infatti, «non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali» (Corte Cost. n. 32 del 2021), né «incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale» (Corte Cost. n. 33 del 2021).

Va da sé che anche con riferimento alla omogenitorialità – come per qualsivoglia figura genitoriale – è possibile ricorrere agli strumenti predisposti dall’ordinamento nell’interesse in concreto del minore in caso di incapacità dei genitori ad assolvere i loro compiti, così come agli strumenti previsti per le ipotesi di difetto di veridicità delle dichiarazioni rese innanzi all’ufficiale di stato civile e di contestazione dei presupposti di riconoscimento dello status.

La centralità dell’interesse del minore, raccordata con la responsabilità dei genitori che hanno legittimamente avviato di comune accordo il percorso di PMA, richiede di individuare in concreto quale sia il livello di protezione di tale interesse e quali siano le condizioni perché al nato possa essere riconosciuto lo stato di figlio anche della madre intenzionale.

L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita. Il riconoscimento, per sua natura, opera da subito e indipendentemente dalle vicende della coppia e da eventuali mutamenti, al momento della nascita, della stessa volontà delle due donne che hanno fatto ricorso alla PMA e in particolare della madre intenzionale.

È bensì vero che, rispetto alla disciplina sussistente al momento del riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore stigmatizzato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2021, è intervenuta una significativa attenuazione di due dei profili di criticità dell’adozione non legittimante, ad opera della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità: la mancata previsione di alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante (Corte Cost. n. 79 del 2022); la precisazione che il rifiuto dell’assenso all’adozione, da parte del genitore biologico, è ragionevole e può sortire effetti preclusivi soltanto se espresso nell’interesse del minore, ossia quando non si sia realizzato tra quest’ultimo ed il genitore d’intenzione quel legame esistenziale la cui tutela costituisce il presupposto dell’adozione (tra le ultime, Cass. civ., sez. I, 29 agosto 2023, n. 25436). E, però, il pur importante mutamento subito dalla disciplina dell’adozione cosiddetta non legittimante negli ultimi anni non comporta, nella diversa prospettiva posta dalle odierne questioni, un decisivo ridimensionamento del deficit di tutela già ravvisato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 32 del 2021 e, ancor prima, sentenza n. 230 del 2020), dovendosi ritenere piuttosto che sussista una vera e propria inidoneità di tipo strutturale. E ciò per la determinante e assorbente considerazione che, mediante il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari, l’acquisizione dello status di figlio è fisiologicamente subordinata all’iniziativa dell’aspirante adottante e allo svolgimento di un procedimento, caratterizzato da costi, tempi e alea propri di tutti i procedimenti. Inoltre, e soprattutto, l’eventuale esito positivo del procedimento non può che spiegare effetto dal suo perfezionamento. Il lasso di tempo intercorrente tra la nascita e il perfezionamento dell’(eventuale) adozione lascia il minore in uno stato di incertezza e imprevedibilità in ordine al suo stato, e, quindi, alla sua identità personale, esponendolo alle vicende della coppia e comunque alla mera volontà di uno dei due soggetti, e in particolare della madre intenzionale. Infatti, l’avvio del procedimento è rimesso all’esclusiva iniziativa dell’adottante e la volontà di adottare deve permanere fino alla sua conclusione, con la conseguenza che si lascia completamente alla volontà proprio di chi ha condiviso il ricorso alla PMA di decidere se assumersi o meno gli obblighi genitoriali conseguenti alla sua scelta.

Di contro, non è prevista alcuna legittimazione in capo al minore (o a chi ne ha la rappresentanza legale) né, tantomeno, in capo alla madre biologica e, più in generale, nessuno strumento di tutela è accordato agli stessi per l’eventualità in cui la madre intenzionale decida di non procedere all’adozione, sicché proprio a lei viene a essere consentito di sottrarsi ai doveri assunti al momento della decisione di intraprendere con la partner il percorso genitoriale. Ancora, in caso di morte della madre intenzionale o di intervenuta crisi della coppia nessun diritto potrà configurarsi in capo al minore nei confronti della madre intenzionale.

Vero è che l’interesse del minore, per quanto centrale, non è un interesse “tiranno”, che debba sempre e comunque prevalere. Al pari di ogni interesse costituzionalmente rilevante, esso può essere oggetto di un bilanciamento in presenza di un interesse di pari rango. Ma, nel caso di specie, non si pone un problema di bilanciamento, in quanto non è ravvisabile alcun controinteresse di peso tale da richiedere e giustificare una compressione del diritto del minore a vedersi riconosciuto il proprio stato di figlio (della madre intenzionale) automaticamente sin dal momento della nascita.

In conclusione, per la Corte Costituzionale il mancato riconoscimento – effettuato secondo le modalità previste dall’ordinamento (artt. 250 e 254 c.c. e d.P.R. n. 396 del 2000) − al nato in Italia dello stato di figlio di entrambe le donne che, sulla base di un comune impegno genitoriale, abbiano fatto ricorso a tecniche di PMA praticate legittimamente all’estero costituisca violazione: dell’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse; dell’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli. La lesione ricondotta dal rimettente al «complesso delle disposizioni censurate» va ascritta in particolare all’art. 8 della L. n. 40 del 2004.

Accertata la persistenza di un vulnus anche rispetto al quadro normativo esaminato dalla sentenza n. 32 del 2021 e l’insussistenza di un controinteresse tale da giustificare un bilanciamento rispetto all’interesse del minore a vedersi riconosciuto automaticamente e sin dalla nascita lo status di figlio anche della madre intenzionale, la Corte Costituzionale – venendo in rilievo l’esigenza di assicurare la tutela effettiva di diritti fondamentali, incisi dalle scelte, anche omissive, del legislatore – non può giustificare l’inerzia protrattasi per anni ed esimersi dal porre rimedio nell’immediato al vulnus, riscontrato garantendo il livello di protezione che la Costituzione esige che sia assicurato.

Per queste ragioni è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, L. n. 40 del 2004, per violazione degli artt. 2, 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti (nei termini sopra richiamati: punto 12), a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.

Jusdi una rubrica de “Il diritto, quotidiano Dike” Tutti i diritti riservati Iscritto in data 11 aprile u.s. al n. 56/2024 del Registro Stampa del Tribunale di Roma Dike Giuridica s.r.l. P.IVA e C.F. 10063311210 Riviera di Chiaia, 256 – 80121 NAPOLI

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