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  • Diritto Amministrativo
  • venerdì, 6 Giugno 2025

Il metodo dell’assorbimento dei motivi

  • Domiziana Morbitelli
  • Diritto Amministrativo

Provvedimento (estremi)

Sentenza – Cons. Stato, sez. IV, ud. 15 aprile 2025 – dep. 23 maggio 2025, n. 4504

Tematica

Processo amministrativo
Motivi di ricorso
Metodo dell’assorbimento

Norma/e di riferimento

Art. 34 c.p.a.

Massima/e

Nel processo amministrativo l’ordine di prospettazione dei motivi di ricorso è tendenzialmente vincolante per il giudice il quale, investito del sindacato sulla legittimità di uno o più atti, deve trattare per primo il motivo che la parte ha indicato espressamente come prioritario e, solo in caso di mancato accoglimento di questo, proseguire nella trattazione dei motivi indicati come subordinati.

È tuttavia onere della parte graduare in modo espresso i motivi di ricorso non potendo il giudice sostituirsi alla parte nella valutazione del proprio interesse sulla base di arbitrarie intuizioni o affidandosi alla mera successione numerica dei motivi di ricorso. Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2025, n. 4504

La regola è quella per cui il giudice è vincolato all’ordine di trattazione dei motivi così come prospettato dal ricorrente, mentre l’eccezione a tale obbligo si concretizza quando il vizio fatto valere si traduca, ex art. 34, comma 2, c.p.a., nel mancato esercizio di potere attribuito dalla legge all’autorità competente Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2025, n. 4504

In senso conforme: Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5

Il principio di legalità costituzionalmente sotteso all’ordinamento amministrativo non consente a qualsiasi ente o organo amministrativo di fare tutto ciò che sia giusto e legittimo, ma di competenza altrui: deve, all’opposto, affermarsi che, per quanto “forte” sia l’interesse a essa sotteso, l’attività svolta da un soggetto o da un organo incompetente è concettualmente da parificare – una volta che il vizio di incompetenza sia stato fondatamente dedotto – all’attività amministrativa non ancora esercitata, quella potendo essere svolta solo dall’ente e dall’organo cui l’ordinamento ha attribuito la competenza a provvedere. Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2025, n. 4504

In senso conforme: C.G.R.S. sentenza del 20 settembre 2024, n. 715

Commento

Il metodo dell’assorbimento dei motivi

di Domiziana Morbitelli

 

È noto che nel processo amministrativo l’ordine di prospettazione dei motivi di ricorso è tendenzialmente vincolante per il giudice il quale, investito del sindacato sulla legittimità di uno o più atti, deve trattare per primo il motivo che la parte ha indicato espressamente come prioritario e, solo in caso di mancato accoglimento di questo, proseguire nella trattazione dei motivi indicati come subordinati.

È tuttavia onere della parte graduare in modo espresso i motivi di ricorso non potendo il giudice sostituirsi alla parte nella valutazione del proprio interesse sulla base di arbitrarie intuizioni o affidandosi alla mera successione numerica dei motivi di ricorso.

Sulla validità di questa regola si è tuttavia dubitato quando nei motivi di ricorso venga denunciato il vizio di incompetenza relativa (atto amministrativo emanato da un organo che appartiene allo stesso apparato amministrativo cui la legge intesta il potere di provvedere).

L’art. 21-octies, L. n. 241 del 1990 dispone che il vizio di incompetenza relativa comporta la annullabilità del provvedimento amministrativo, a differenza del più grave vizio di incompetenza assoluta che rientra invece tra le cause tassative di nullità dell’atto (art. 21-septies della medesima legge cit.).

Orbene, prima dell’entrata in vigore del c.p.a., l’art. 26, comma 2, della legge istitutiva dei Ta.r. (6 dicembre 1971 n. 1034) imponeva al giudice di rimettere l’affare all’autorità competente in caso di accoglimento del vizio di incompetenza.

Tale disposizione era stata interpretata dall’orientamento assolutamente consolidato della giurisprudenza come implicante la necessaria trattazione prioritaria del motivo relativo all’incompetenza, a prescindere dall’ordine dei motivi prospettati nel ricorso; ciò in quanto una pronuncia sul merito di altri vizi di legittimità si sarebbe tradotta in una non ammissibile anticipazione della decisione provvedimentale dell’amministrazione competente sull’affare cui spettava la valutazione degli interessi coinvolti.

Conseguiva a tanto che, l’accoglimento del motivo afferente il vizio di incompetenza comportasse l’assorbimento degli atri motivi di ricorso e la rimessione della questione all’autorità competente.

Il codice del processo amministrativo, approvato con D.L.vo n. 104 del 2010, non ha riprodotto la disciplina dell’art. 26, comma 2, legge T.a.r. sicché si è posto il dubbio se la regola della trattazione prioritaria e assorbente del vizio di incompetenza fosse ancora valida o meno.

Sulla questione si sono formati due orientamenti interpretativi.

Il primo, aderente alla impostazione giurisprudenziale più tradizionale, secondo il quale anche dopo l’approvazione del c.p.a. nulla è cambiato con riferimento all’obbligo del giudice di trattare prioritariamente il motivo afferente al vizio di incompetenza: il divieto per il giudice di sindacare gli atti emessi da una p.a. incompetente resterebbe fermo in virtù dell’art. 34 comma 2, c.p.a. – espressione del più generale principio della separazione dei poteri dello Stato e del principio del contraddittorio – laddove prevede che “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.

Il secondo indirizzo, secondo cui la mancata riproduzione dell’art. 26, comma 2, della citata legge corrisponde alla volontà del legislatore di allargare il perimetro operativo del principio dispositivo e del principio di effettività della tutela nel processo amministrativo.

La questione della graduabilità dei motivi di ricorso (in particolare quello relativo al vizio di incompetenza) e del relativo obbligo di osservanza del giudice è stata sottoposta all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la sentenza 27 aprile 2015, n. 5, ha infatti affermato l’esistenza di una regola e di una eccezione: la regola è quella per cui il giudice è vincolato all’ordine di trattazione dei motivi così come prospettato dal ricorrente, mentre l’eccezione a tale obbligo si concretizza quando il vizio fatto valere si traduca, ex art. 34, comma 2, c.p.a., nel mancato esercizio di potere attribuito dalla legge all’autorità competente.

Il supremo Consesso amministrativo si è espresso, dunque, con una pronuncia che conferma l’orientamento tradizionale ma con talune precisazioni.

L’Adunanza Plenaria afferma, infatti, in modo espresso che il metodo dell’assorbimento dei motivi è di regola vietato e che incombe sul giudice il generale obbligo di pronunciarsi su tutti i motivi.

Enunciata la regola, tuttavia, l’Adunanza individua una serie di eccezioni al divieto di assorbimento, ascrivendole a tre categorie: l’assorbimento legale, per pregiudizialità necessaria e per ragioni di economia collocando l’eccezione costituita dall’obbligo di trattazione prioritaria del vizio di incompetenza nell’ipotesi della pregiudizialità necessaria, che si verifica quando i vizi denunciati siano riferiti a cause di invalidità (sostanziali e non meramente formali) così gravi e radicali che l’interesse concreto del privato debba essere eccezionalmente sacrificato – disattendendo l’ordine di prospettazione dei motivi del suo ricorso – a tutela dell’interesse collettivo alla legalità dell’azione amministrativa.

I giudici amministrativi, dunque, devono farsi carico di esaminare il dedotto vizio di incompetenza (relativa) che, in quanto riferito a cause di invalidità “sostanziali” – ovvero connesso ai presupposti della funzione amministrativa e alle valutazioni sottese all’esercizio del potere – assume, nel caso dovesse riscontrarsi fondato, valore assorbente rispetto agli altri motivi. Ciò perché, in un ordinamento ispirato al principio di legalità, non è possibile aderire alla tesi dell’irrilevanza strutturale – id est dequotazione, alias sussumibilità nella fattispecie sanante di cui all’art. 21-octies, L. n. 241 del 1990 – del vizio di incompetenza (relativa o assoluta che sia).

Il principio di legalità costituzionalmente sotteso all’ordinamento amministrativo non consente, infatti, a qualsiasi ente o organo amministrativo di fare tutto ciò che sia giusto e legittimo, ma di competenza altrui: deve, all’opposto, affermarsi che, per quanto “forte” sia l’interesse a essa sotteso, l’attività svolta da un soggetto o da un organo incompetente è concettualmente da parificare – una volta che il vizio di incompetenza sia stato fondatamente dedotto – all’attività amministrativa non ancora esercitata, quella potendo essere svolta solo dall’ente e dall’organo cui l’ordinamento ha attribuito la competenza a provvedere (cfr. C.G.R.S. sentenza del 20 settembre 2024, n. 715). Siffatta conclusione consegue, quale suo necessario corollario, alla natura intrinsecamente assorbente di ogni altro vizio che è tipica di quello di incompetenza (quand’anche relativa): corretta e preclara risulta, in proposito, l’argomentazione svolta – e il conseguente principio di diritto affermato, nella specie vincolante non solo ratione imperii, ma ancor prima e soprattutto rationis imperio – dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza del 27 aprile 2015, n. 5.

Jusdi una rubrica de “Il diritto, quotidiano Dike” Tutti i diritti riservati Iscritto in data 11 aprile u.s. al n. 56/2024 del Registro Stampa del Tribunale di Roma Dike Giuridica s.r.l. P.IVA e C.F. 10063311210 Riviera di Chiaia, 256 – 80121 NAPOLI

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