- Codice Rosso
Violenza sessuale: la mancanza di consenso – libero, validamente prestato e revocabile – rappresenta l’«in sé» del reato
- Valerio de Gioia
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Provvedimento (estremi)
Cass. pen., sez. III, ud. 21 ottobre 2025 – dep. 14 novembre 2025, n. 37173
Tematica
Violenza sessuale
Consenso
Validamente prestato
Norma/e di riferimento
art. 609-bis c.p.
Massima/e
ѦѦѦ In tema di violenza sessuale, al fine di escludere il reato, il consenso deve essere «libero» (posto che nella violenza per induzione il consenso esiste, ma non è libero), e «validamente» prestato (ossia in modo esplicito e senza ambiguità) in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa, né la sua presenza può essere dedotta da circostanze estranee al perimetro del fatto, come dall’essersi la persona offesa fatta riaccompagnare a casa dall’agente o addirittura dai «costumi sessuali» della stessa. Cass. pen., sez. III, 21 ottobre 2025, n. 37173
In senso conforme: Cass. pen., sez. III, 9 giugno 2017, n. 46464
ѦѦѦ Il consenso non può desumersi implicitamente dall’assenza di reazione da parte della vittima. Non infrequente infatti, nella casistica giudiziaria, è imbattersi in vittime di violenza sessuale (spesso di gruppo) che, durante i rapporti, rimangono inerti, quasi prive di coscienza e volontà proprie, meccanismo che mima quello che, in natura, è la strategia della «preda» di fingersi morta per ingannare il predatore. Cass. pen., sez. III, 21 ottobre 2025, n. 37173
Commento
Violenza sessuale: la mancanza di consenso – libero, validamente prestato e revocabile – rappresenta l’«in sé» del reato
Valerio de Gioia
La libertà sessuale dell’individuo è un diritto inviolabile dell’uomo tutelato dall’articolo 2 della Costituzione (v. Corte Cost., sentenza n. 561 del 1987: «essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire»), per cui la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali è assoluta e incondizionata e non incontra limiti nelle diverse intenzioni che l’altra persona possa essersi prefissa. L’assolutezza del diritto tutelato non tollera, nella chiara volontà del legislatore, possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall’art. 609-bis c.p. per qualificare la penale rilevanza della condotta (Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2021, n. 13278).
Tale libertà, che in senso «positivo» si esplica nel diritto di svolgere tutte le pratiche sessuali che si desiderano, con il solo limite del rispetto dell’analogo diritto altrui, in senso «negativo» va inteso come diritto a che nessuno possa essere sottoposto ad atti sessuali senza previo consenso. Il consenso al compimento di atti sessuali, sia pure non espressamente menzionato dalla norma incriminatrice in parola, costituisce senz’altro elemento «negativo» della fattispecie, nel senso che un consenso validamente espresso esclude la tipicità del fatto.
La Suprema Corte ha anche precisato (Cass. pen., sez. IV, 19 maggio 2022, n. 21296) che la mancanza di consenso della persona offesa rappresenta l’«in sé» del reato di violenza sessuale; a questo fine deve aversi riguardo a tutte le situazioni che influiscano negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima (violenza, minaccia, stordimento della vittima attraverso l’utilizzo di sostanze alcoliche o stupefacenti), essendo la libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale il bene protetto dalla norma.
La struttura dei reati contro la libertà sessuale è del resto costruita, sia pure implicitamente, attorno all’assenza di consenso (laddove la normativa internazionale lo è esplicitamente, v. art. 36 della convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia con L. n. 77/2013, cui ha aderito altresì l’Unione europea in data 1° giugno 2023). Ed infatti, l’articolo 609-bis c.p. prevede due distinte ipotesi di «violenza sessuale»: la prima, commessa mediante «costrizione», in cui viene sanzionata la condotta di chi «con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali», e la seconda, commessa mediante «induzione», che sanziona la condotta di chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali «abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto» ovvero «traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona». Tale disposizione va necessariamente integrata con il successivo articolo 609-quater, il quale prevede una autonoma fattispecie di reato in cui viene sanzionata la condotta di chi «compie atti sessuali» con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.
Dal sistema, così come delineato, emerge con chiarezza che il legislatore ha articolato un sistema di tutela «multilivello», in cui: a) fino all’età di quattordici anni la persona offesa, con presunzione iuris et de iure, non è in grado di esprimere un valido consenso al compimento di atti sessuali (fermo restando che, nel caso ricorrano le ipotesi di violenza sessuale mediante costrizione o induzione si applicherà la pena prevista per il delitto di cui all’articolo 609-bis c.p.); non a caso, mentre l’articolo 609-bis parla di costrizione o induzione «a compiere o subire atti sessuali», evidenziando la centralità della persona offesa, l’articolo 609-quater si focalizza sulla condotta dell’agente che «compie atti sessuali», sottolineando come la tematica del consenso sia del tutto estranea dalla fattispecie; b) tra i quattordici e i diciotto anni, la presunzione di cui sopra opera in presenza di particolari situazioni di «affidamento» o di «fiducia», di cui l’agente abbia approfittato per compiere atti sessuali col minore, situazione che, per certi versi, può essere assimilata alla violenza per induzione, con la fondamentale differenza che, in questo caso, il dissenso è assolutamente presunto e non occorre alcuna prova di «approfittamento», essendo sufficiente la semplice esistenza, oggettiva, della condizione di affidamento o convivenza; c) oltre i diciotto anni, il «consenso» diviene elemento costitutivo (implicito) della fattispecie.
Esso deve essere anche «libero» (posto che nella violenza per induzione il consenso esiste, ma non è libero), e «validamente» prestato (ossia in modo esplicito e senza ambiguità) in relazione al momento del compimento dell’atto stesso, sicché è irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa (Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2022, n. 7873), né la sua presenza può essere dedotta da circostanze estranee al perimetro del fatto, come dall’essersi la persona offesa fatta riaccompagnare a casa dall’agente (Cass. pen., sez. III, 16 ottobre 2019, n. 5512) o addirittura dai «costumi sessuali» della stessa (Cass. pen., sez. III, 9 giugno 2017, n. 46464). Il consenso, come invocato anche dalla citata Corte di Strasburgo, non può desumersi implicitamente dall’assenza di reazione da parte della vittima. Non infrequente infatti, nella casistica giudiziaria, è imbattersi in vittime di violenza sessuale (spesso di gruppo) che, durante i rapporti, rimangono inerti, quasi prive di coscienza e volontà proprie, meccanismo che mima quello che, in natura, è la strategia della «preda» di fingersi morta per ingannare il predatore.
In questi casi, la Suprema Corte (Cass. pen., sez. III, 26 novembre 2014, n. 967) ha stabilito che «l’abbassamento delle difese da parte della vittima, che, temendo per la propria vita o incolumità fisica, finisce per accedere senza apparenti reazioni di contrasto alle violenze a suo danno, non vale in alcun modo ad elidere la violenza o ad alimentare dubbi circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo ai “rei”». Inoltre, il consenso deve investire non solo l’an dell’atto sessuale ma anche il «tipo» di atto sessuale da compiere (nel caso di specie, il ricorrente deduce una consensualità ad un rapporto sessuale orale, senza tuttavia nulla addurre su come tale consenso, formatosi all’interno di un bagno, si sarebbe manifestato), e deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità (Cass. pen., sez. III, 20 novembre 2012, n. 15334; Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2007, n. 27252), potendosi la revoca del consenso intervenuta «in itinere» desumere da fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà (Cass. pen., sez. III, 11 dicembre 2018, n. 15010). È inoltre necessario che il consenso riguardi la specifica persona che quell’atto compie (Cass. pen., sez. III, 23 giugno 2016, n. 22127), elemento di particolare rilevanza soprattutto quando si discetti di violenza sessuale «di gruppo».
Sussiste quindi il delitto in parola laddove l’atto sessuale sia compiuto nei confronti di persona che si trovi in condizioni di minorata difesa a seguito di assunzione (anche volontaria) di sostanze in grado di offuscare la capacità di giudizio e quindi di espressione di libero consenso. È stato in proposito affermato (Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2022, n. 7873) che «l’assunzione, da parte della persona offesa, di sostanze alcoliche o stupefacenti in quantità tali da comportare l’assoluta incapacità di esprimere il proprio consenso, rende configurabile, nei suoi confronti, il delitto di violenza sessuale per costrizione, di cui all’art. 609-bis, comma 1, c.p. e non quello di violenza sessuale per induzione di cui all’art. 609-bis, comma 2, c.p.».