Maltrattamenti in famiglia: il riavvicinamento all’uomo violento e il «ritardo» nella denuncia

Provvedimento (estremi)

Sentenza – Cass. pen., sez. VI, ud. 19 maggio 2025 – dep. 5 giugno 2025, n. 21253

Tematica

Penale
Maltrattamenti in famiglia
Vittimizzazione secondaria

Norma/e di riferimento

Art. 572 c.p.
Art. 192 c.p.p.

Massima/e

Il riavvicinamento della donna all’uomo violento e il “ritardo” nella denuncia possono essere considerati espressivi della modalità ciclica e manipolatoria in cui si sviluppa la violenza nel contesto delle relazioni affettive di coppia, che l’esperienza giudiziaria ha comprovato concretizzarsi nei maltrattamenti dell’autore, soprattutto psicologici che, dopo periodi di quiete e di manifestazioni di affetto, volti a confondere la vittima e porla nell’illusoria aspettativa del cambiamento affinché resti in quella relazione violenta, riprendono con maggiore crudeltà. In una logica di interpretazione orientata, vanno valorizzate anche le indicazioni contenute nella recente Direttiva 2024/1385/UE del 14 maggio 2024 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, nella parte in cui ha raccomandato alle competenti autorità statuali di effettuare “valutazioni individuali delle esigenze di protezione delle vittime” (art. 16). Cass. pen., sez. VI, 19 maggio 2025, n. 21253.

In senso conforme: Cass. pen., sez. VI, 27 settembre 2024, n. 39562; Cass. pen., sez. VI, 23 aprile 2024, n. 23635; Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2024, n. 7289.

 

Qualificare, in un contesto di coppia o familiare, l’intimidazione, le minacce, l’isolamento, le lesioni, i danneggiamenti, il controllo, l’imposizione di ridurre i rapporti sociali, la coercizione, come espressive di un comune “conflitto”, semmai dietro la provocazione della vittima con condotte del tutto legittime, deforma dati oggettivi e pone sullo stesso piano la lesioni di diritti fondamentali (dignità, libertà, integrità fisica e morale), che non possono subire violazioni o limitazioni, neanche occasionali, e costrutti sociali basati sulla liceità di pratiche punitive per una pretesa insubordinazione femminile ad obblighi, di qualsiasi natura, ingiunti dall’autore. Cass. pen., sez. VI, 19 maggio 2025, n. 21253.

In senso conforme: Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2024, n. 32042; Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2024, n. 26934).

Commento

Maltrattamenti in famiglia: il riavvicinamento all’uomo violento e il «ritardo» nella denuncia possono essere considerati espressivi della modalità ciclica e manipolatoria in cui si sviluppa la violenza nel contesto delle relazioni affettive di coppia.

di Valerio de Gioia

 

Costituisce espressione di un oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il reato di maltrattamenti è un reato di mera condotta, in cui è solo il comportamento dell’autore ad essere oggetto di verifica proprio per accertare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che lo integrano, non rilevando dunque la reazione della vittima (Cass. pen., sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 809) o i suoi comportamenti antecedenti, contestuali o successivi che, al più, possono essere valutati per comprendere l’entità degli effetti traumatici della condotta subita (Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2024, n. 26934; Cass. pen., sez. VI, 26 gennaio 2023, n. 11733; Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2023, n. 8452; Cass. pen., sez. VI, 15 settembre 2022, n. 9187) o per collocare, nella giusta dimensione, la dinamica della relazione maltrattante, discriminatoria e prevaricatoria, strutturatasi nel tempo, che ha causato specifici comportamenti nella vittima (solitudine, costante senso di minaccia, timore di rappresentare il proprio punto di vista per non subire reazioni violente, sottoposizione ad un controllo coercitivo, imposizione di obblighi di ruoli di genere, ecc.).

Spostare l’attenzione dell’accertamento giudiziario, dalle condotte dell’autore a quelle della persona offesa, oltre a non rispondere a criteri di logica giuridica e a confondere tra condotte lecite (nel caso in esame la gelosia della persona offesa) ed illecite (nel caso in esame la denunciata violenza dell’indagato), è vietato anche dalle fonti sovranazionali perché, soprattutto nei delitti di violenza di genere, domestica e contro le donne, ha l’effetto di produrre la «vittimizzazione secondaria» nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. un., 17 novembre 2021, n. 35110; Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2024, n. 32042; Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2022, n. 12066) e dalle Corti sovranazionali.
L’attribuzione alla persona offesa della “responsabilità” di avere subito violenza dal compagno in quanto “gelosa” non si misura neanche con la giurisprudenza più recente che ha distinto, in modo chiaro, i maltrattamenti dalle mere liti familiari, ponendo quale linea di demarcazione l’asimmetria di potere e di genere che connota i primi in una relazione di cui la violenza costituisce la modalità più visibile (v., in motivazione, Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2024, n. 32042; Cass. pen., sez. VI, 3 luglio 2023, n. 37978; Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2024, n. 26934).
Entro tale prospettiva si è affermato, in particolare, che qualificare, in un contesto di coppia o familiare, l’intimidazione, le minacce, l’isolamento, le lesioni, i danneggiamenti, il controllo, l’imposizione di ridurre i rapporti sociali, la coercizione, come espressive di un comune “conflitto”, semmai dietro la provocazione della vittima con condotte del tutto legittime, deforma dati oggettivi e pone sullo stesso piano la lesioni di diritti fondamentali (dignità, libertà, integrità fisica e morale), che non possono subire violazioni o limitazioni, neanche occasionali, e costrutti sociali basati sulla liceità di pratiche punitive per una pretesa insubordinazione femminile ad obblighi, di qualsiasi natura, ingiunti dall’autore (Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2024, n. 32042; Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2024, n. 26934).
Il riavvicinamento della donna all’uomo violento e il “ritardo” nella denuncia possono essere considerati espressivi della modalità ciclica e manipolatoria in cui si sviluppa la violenza nel contesto delle relazioni affettive di coppia, che l’esperienza giudiziaria ha comprovato concretizzarsi nei maltrattamenti dell’autore, soprattutto psicologici che, dopo periodi di quiete e di manifestazioni di affetto, volti a confondere la vittima e porla nell’illusoria aspettativa del cambiamento affinché resti in quella relazione violenta, riprendono con maggiore crudeltà. Di tanto vi è chiara traccia nella giurisprudenza di legittimità che, sul punto, in una logica di interpretazione orientata, ha inteso valorizzare anche le indicazioni contenute nella recente Direttiva 2024/1385/UE del 14 maggio 2024 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, nella parte in cui ha raccomandato alle competenti autorità statuali di effettuare “valutazioni individuali delle esigenze di protezione delle vittime” (art. 16) (cfr. Cass. pen., sez. VI, 27 settembre 2024, n. 39562; Cass. pen., sez. VI, 23 aprile 2024, n. 23635; Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2024, n. 7289).
Il tentativo di riavvicinamento della persona offesa all’autore delle violenze, lungi dal giustificare un giudizio “secco” di non credibilità della denunciante, può costituire, al contrario, una evenienza prevedibile connessa alle modalità insidiose in cui si sviluppano le condotte maltrattanti tra partner (in questo senso, Cass. pen., sez. III, 11 maggio 2021, n. 32379); la circostanza che la persona offesa non abbia denunciato nell’immediato le condotte maltrattanti, che nell’ordinaria dinamica delle relazioni di coppia segnate da violenze (fisiche o psichiche), è dato che può avere molteplici ragioni che spetta al giudice accertare, solo ove ritenga che ciò assuma rilievo determinante, senza addentrarsi in apodittiche e astratte valutazioni di verosimiglianza (così, tra le altre, Cass. pen., sez. VI, 22 novembre 2022, n. 44427).

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