Il conguaglio degli oneri concessori (costo di costruzione e oneri di urbanizzazione)

Provvedimento (estremi)

Sentenza – Cons. Stato, sez. IV, ud. 20 marzo 2025 – dep. 23 maggio 2025, n. 4520

Tematica

Edilizia
Oneri concessori
Contributo di costruzione

Norma/e di riferimento

Art. 16, d.P.R. 380 del 2001
Artt. 1175,1375 e 2946 c.c.

Massima/e

Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio. La pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento. Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2025, n. 4520.

In senso conforme: Cons. Stato, Ad. Plen., 30 agosto 2018, n. 12.

 

La norma di cui all’art. 16, comma 6, d.P.R. n. 380/2001 contempla un obbligo imperativo ed inderogabile, indirizzato agli enti locali, di aggiornare gli oneri di urbanizzazione ogni cinque anni al fine di adeguarli alle variazioni dei costi intervenuti nel relativo frangente temporale e, pertanto, prevede un incombente del tutto vincolato siccome, per altro, fondato su parametri predeterminati.

Sul piano generale, deve poi rilevarsi che la deliberazione consiliare con cui l’ente aggiorna i parametri di calcolo degli oneri di urbanizzazione, come detto adeguandoli al mutamento delle condizioni economiche intervenute, non ha natura costitutiva, attiene ad un rapporto paritetico con il privato e costituisce un atto di natura meramente ricognitiva, il cui contenuto discende direttamente dalla legge. L’aggiornamento dei valori ha natura accertativa e non novativa, esso attiene al mero adeguamento monetario, dunque ad una grandezza determinabile. Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2025, n. 4520.

Commento

Il conguaglio degli oneri concessori (costo di costruzione e oneri di urbanizzazione)

di Carol Gabriella Maritato

 

Il conguaglio degli oneri concessori (costo di costruzione e oneri di urbanizzazione) è doveroso per l’ente locale. La doverosità riposa sugli argomenti spesi dalla sentenza n. 64 del 2020 della Corte Costituzionale che, chiamata a valutare la legittimità di una norma della Regione Veneto in subiecta materia, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Veneto n. 4 del 2015, perché, non consentendo la richiesta di conguaglio ai Comuni che avevano liquidato un importo inferiore all’atto del rilascio del titolo, “esclude che la quota del costo di costruzione sia determinata in base ai parametri fissati dall’art. 16, comma 9, del t.u. edilizia in relazione a fattispecie che ne avrebbero prevista la necessaria applicazione”.

L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 12 del 2018, ha fissato i seguenti principi di diritto: “Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio. La pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento”. La stessa sentenza ha sottolineato che la tutela della buona fede deriva dalla predeterminazione e dall’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione cosicché il privato può conoscere in anticipo l’entità degli oneri cui andrà incontro ivi compresa la possibile correzione che potrà accadere per l’aggiornamento dei parametri di legge non sempre tempestiva da parte dei Comuni.

La citata sentenza dell’Adunanza Plenaria ha ulteriormente sancito che: “quanto alle regole privatistiche concretamente applicabili al rapporto obbligatorio di cui si discute, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, L. n. 241 del 1990, ritiene che la disciplina dell’errore riconoscibile, di cui all’art. 1431 c.c., non sia applicabile all’atto con il quale la pubblica amministrazione ridetermini l’importo del contributo ben potendosi ipotizzare che l’eventuale errore dell’Amministrazione sia riconoscibile dal privato che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllare l’esattezza delle operazioni di calcolo sin dal primo atto di loro determinazione” (negli stessi termini Cons. Stato, sez. IV, 4134/2020).

La norma di cui all’art. 16, comma 6, d.P.R. n. 380/2001 contempla un obbligo imperativo ed inderogabile, indirizzato agli enti locali, di aggiornare gli oneri di urbanizzazione ogni cinque anni al fine di adeguarli alle variazioni dei costi intervenuti nel relativo frangente temporale e, pertanto, prevede un incombente del tutto vincolato siccome, per altro, fondato su parametri predeterminati.

Sul piano generale, deve poi rilevarsi che la deliberazione consiliare con cui l’ente aggiorna i parametri di calcolo degli oneri di urbanizzazione, come detto adeguandoli al mutamento delle condizioni economiche intervenute, non ha natura costitutiva, attiene ad un rapporto paritetico con il privato e costituisce un atto di natura meramente ricognitiva, il cui contenuto discende direttamente dalla legge. L’aggiornamento dei valori ha natura accertativa e non novativa, esso attiene al mero adeguamento monetario, dunque ad una grandezza determinabile.

La norma in esame, laddove statuisce che “ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”, attiene a un effetto sostantivo già operante, che deriva dal disposto della disposizione imperativa inderogabile. La pretesa del Comune, per il carattere imperativo della norma (finalizzata alla corretta gestione del territorio comunale e, quindi alla tutela dell’interesse pubblico collettivo) impinge in diritti che non sono nella disponibilità dell’ente, nel senso che non potrebbe l’amministrazione rinunciare al credito o al suo conguaglio dovuto per legge né concordarne una misura diversa da quella corrispondente ai parametri deliberati. Non si pone, pertanto, una questione di illegittima “retroattività”, lesiva di situazioni già consolidate: l’adeguamento riguarda elementi già presenti e certi al momento del rilascio del titolo edilizio, la cui sola quantificazione è stata assoggettata a successiva rideterminazione ai sensi di legge, con l’unico limite della prescrizione estintiva. Pertanto, neppure si pone, sotto il profilo paritetico-civilistico, alcuna lesione del principio di buona fede: il conguaglio è un effetto naturale del dovuto pagamento dei costi legati all’ottenimento del titolo.

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